Le teste chine sui piatti serviti e ancora intatti; le facce imbronciate e tese. C’è chi nasconde le lacrime in un silenzio carico d’ira e chi piagnucola protestando sottovoce; chi si alza e se ne va sbattendo la porta.
Gli occhi della mamma sono come lame affilate, pronte a trafiggere gli sguardi adirati dei figli, mentre le mie mani sono ancora rigide e strette a pugno, dopo la sfuriata che ha liberato la mia tensione accumulata in tanti episodi di estenuanti litigi tra fratello e fratello.
Sono passati pochi minuti da quando mia moglie, con benevolo sorriso e aria soddisfatta, posava al centro della tavola un vassoio ricolmo di patate calde e croccanti. Più o meno una ventina di dita si agitavano ansiose di afferrare le patatine più lunghe per portarle al sicuro sul proprio piatto. La mamma, assecondando, cercava di distribuire equamente il cibo. Ma esattamente in quel momento si doveva scatenare la belva feroce della rivalità:
- “Non è giusto. Lui si è preso la patatina più lunga”. –“Lui, invece, ne ha di più”.
Il cibo iniziava a passare di mano in mano, strappato dalle dita altrui, rubato dai piatti, seguito da urla di protesta e parole offensive. E, mentre il più furbo sghignazzava, gli altri non tardavano ad usare le mani, fino a trasformare la tavola in un furioso campo di battaglia.
Qualsiasi cosa, anche la più banale, la più assurda, può diventare motivo di gelosia tra i miei figli: dal posto in macchina a quello sul divano; dai risultati a scuola alle sfide al gioco; dai calzini colorati e contesi ai lavori richiesti: “Sempre a me e mai a lui”. Qualsiasi cosa può far emergere in loro la rabbia latente e la paura di non essere amati, almeno quanto gli altri, e il conseguente sconforto o addirittura senso di colpa.
La gelosia, a casa mia, è nata con ogni bimbo al momento del parto, ma nel cuore del fratello appena più grande. Non c’è mai stato modo per debellarla completamente. Abbiamo dovuto prima saperla accettare per poi riuscire almeno un po’ a controllarla.
Gestire quotidianamente la rivalità è uno sforzo immane con risultati alquanto modesti. E lo sconforto che ne deriva può far esplodere la famosa “ira da genitore esaurito”, con annessi scrupoli e tardivi sensi di colpa che, a me, tormentano il cuore non appena spengo la luce a letto, impedendomi qualche volta di dormire. Mi consolo pensando che la rivalità, in fondo, è segno di una famiglia sana. In caso contrario, i fratelli si aggrapperebbero l’uno all’altro solidalmente per sentirsi più sicuri, per affrontare difficoltà ben più pericolose.
La competizione, per fortuna, è anche utile ed insegna, in un ambiente controllato e protetto, a risolvere ostilità e conflitti che nella vita adulta emergono poi più spietati e duri.
La rivalità costringe al compromesso e a qualche frustrante rinuncia, facendo capire ai bambini che il mondo non è giusto: esisterà sempre qualcuno che avrà di più e qualcuno che riceverà meno, qualcuno più ricco e qualcun altro più sfortunato, chi sarà aiutato e chi dovrà lavorare di più.
La gelosia tra fratelli andrebbe spiegata in modo calmo e sereno, come sentimento inevitabile e naturale, perché i figli possano poi esternarla senza vergogna, quando ne soffrono. Essere consapevoli di ciò che si prova, senza sentirsi sbagliati è il passo fondamentale per essere padroni di se stessi.
Anche se i miei figli riescono facilmente a portarmi all’esasperazione e a farmi infuriare, mi rendo conto che sono loro le prime vittime di sentimenti che non sanno ancora gestire, di emozioni che non sono in grado di controllare.
Quando mi è possibile, e con gran fatica, mi sforzo di non intervenire, lasciando a loro il compito di trovare una soluzione ragionevole, evitando di appoggiare l’uno o l’altro, perché non esiste mai una ragione chiara e certa, ma solo sentimenti interiori, penosi e confusi.
Quello che invece cerco di fare, con un po’ di attenzione e programmazione, è di riservare ad ognuno dei miei figli, nell’arco della giornata o della settimana, alcuni momenti esclusivi, oppure gesti o parole, a seconda della loro sensibilità, che rivelino il mio affetto particolare per ciascuno di loro.
C’è chi è in perenne attesa che giochi assieme a lui; chi invece si scioglie con una carezza sui capelli; chi ha bisogno di essere rassicurato e lodato e desidera qualche piccolo regalo; chi vuole in dono la mia presenza e il mio ascolto.
"Adesso smettetela, altrimenti...", urla la mamma. "Dai, giochiamo bene", dice il primo. "Ok, non ti sputo più", risponde con ingenuo candore il più piccolo.
E così, ogni serata che con fatica viene strappata alle fauci della competizione, ogni momento in cui si placano i morsi della gelosia, diventa per tutta la famiglia un raro e prezioso dono di autentica serenità.
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