Ora anche il mio vivace folletto tace: dorme esausto appiccicato alla mamma. Io, invece, abbandonato al guanciale guardo: oltre la grande finestra mansardata, il profondo cielo notturno. E mi immergo pian piano in un tiepido bagno di silenzio.
Mi abbaglia fra radi cirri una quieta luna tonda. Si alza a braccetto con la luminosa stella Altair. Poco più in alto la costellazione del Cigno, distesa in volo sulla nostra galassia. Anche il cielo mi sembra muto. Dal silenzio nascono parole diverse, mi visitano discrete, quasi in punta di piedi...
Se avesse le batterie inserite nella schiena, basterebbe staccarle di notte per poter dormire tranquillamente fino a mattina. Ha due anni, è il più piccolo, ma non vuole arrendersi al sonno. Come un minuscolo folletto notturno, si è arrampicato sul lettone di mamma e papà e al buio continua ad emettere ininterrotte sequenze vocali: alcune comprensibili, altre no.
Abbiamo provato di tutto, invano. Ora attendiamo che le sue energie si esauriscano, le parole rallentino e il volume si abbassi lentamente, per poter finalmente dormire. È quel misterioso bisogno che ci accomuna di parlare, parlare, parlare… e poi parlare ancora.
Tutta la mia giornata è stata un continuo sentire di voci, ricezione di informazioni, ascolto di parole e frasi sulla vita altrui.
Un flusso continuo di sillabe vocali, nel brusio dei telefonini, nel pettegolezzo dei fatti degli altri, nel chiacchierio di tante comunicazioni: scritte, radio, tv o messaggi dal web.
A letto, ora mi chiedo quante di quelle parole siano state pensate e pesate, e valevano la pena di essere dette. Quante invece siano state inutili o quantomeno banali, fatte di vuoto o di mediocre superficialità.
Un’overdose quotidiana di notizie e informazioni, iniettata nelle vene della nostra vita sociale, in grado di intossicare la capacità di riflessione, annebbiare la chiarezza di secolari valori, anestetizzare coscienze e nascondere diffuse nevrosi. Queste stesse frasi che ora sto scrivendo rischiano di aggiungersi a tutte le altre, ma non hanno l’intenzione di attirare lettori per distribuire emozioni. Avranno senso solo se accompagneranno chi le scrive e chi le legge di nuovo dentro se stesso, nel silenzio di una dimensione più profonda e più vera; perché anche se ogni cosa è stata detta e ogni informazione ormai è a portata di click, forse abbiamo perso il significato di noi stessi, il segreto della nostra realtà interiore.
Ora anche il mio vivace folletto tace: dorme esausto appiccicato alla mamma. Io, invece, abbandonato al guanciale guardo: oltre la grande finestra mansardata, il profondo cielo notturno. E mi immergo pian piano in un tiepido bagno di silenzio.
Mi abbaglia fra radi cirri una quieta luna tonda. Si alza a braccetto con la luminosa stella Altair. Poco più in alto la costellazione del Cigno, distesa in volo sulla nostra galassia. Anche il cielo mi sembra muto. Dal silenzio nascono parole diverse, mi visitano discrete, quasi in punta di piedi.
Senza spazi di silenzio non siamo che strumenti inutili per le mani di Dio. Privati del silenzio siamo macchine infelici, uomini confusi in cerca di pace.
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